UAE Emirates, Mauro Gianetti si racconta: “Fare il dirigente mi piace più che fare il corridore, per me l’aspetto umano è il fattore più importante”
Mauro Gianetti e il ciclismo, un amore che dura ormai da oltre 40 anni. Prima da corridore e poi da dirigente il nativo di Lugano, oggi direttore sportivo della UAE Emirates, ha vissuto una vita all’insegna del ciclismo, trasformando quella che è stata una lunga e fruttuosa carriera da atleta (vincitore della Liegi – Bastogne – Liegi e della Amstel Gold Race nel 1995) in una vita ancora più ricca di successi grazie al suo lavoro da dirigente. Dopo oltre 17 anni da corridore, infatti, il classe 1964 ha appeso la bicicletta al chiodo nel 2002, iniziando subito a lavorare come dirigente, un lavoro che alla lunga, come da lui stesso ammesso, ha iniziato ad amare ancora di più di quello del corridore.
In un’intervista al programma Lo Specchio, trasmesso dalla televisione svizzera, Gianetti ha infatti raccontato della sua transazione da atleta a dirigente, spiegando come già da molto prima dell’ultima corsa in bici il suo piano fosse quello di rimanere nel mondo del ciclismo, seppur dall’altro lato dell’ammiraglia: “Già negli ultimi 2-3 anni della mia carriera ho iniziato a fare lo stratega sia per la nazionale che per le squadre in cui correvo. Ho cercato di catturare tutti i messaggi, tutto il lavoro fatto dai dirigenti e dai manager proprio perché sapevo che quello era il lavoro che avrei voluto fare dopo. Già da allora ero molto motivato a fare questo mestiere e credo che mi piaccia ancora di più dell’essere corridore, mi sento più completo”.
La sorte ha poi voluto che il destino di Gianetti fosse di lavorare negli Emirati Arabi Uniti, paese in cui il 60enne ha sempre visto una grande potenzialità per lo sviluppo della bici: “Nelle mie visioni, che a volte sembrano strampalate, avevo intravisto negli Emirati Arabi un paese con una potenzialità per lo sviluppo della bicicletta a 360 gradi. Non tanto per trovare dei professionisti o dei campioni, ma per avere un turismo, almeno nei mesi invernali, che si potesse sviluppare intorno alla bicicletta. Avevo presentato queste idee e poi un giorno ricevetti una chiamata ed iniziammo questo percorso pensando allo sviluppo di un nuovo stile di vita negli Emirati. Loro hanno un grosso problema di obesità e di diabete, che poi può diventare Alzheimer. La volontà della famiglia reale era quella di avere una società più sana, ed allora abbiamo iniziato nel 2014 con i primi progetti: piste e circuiti ciclabili, progetti nelle scuole, e poi siamo arrivati alla squadra di ciclismo professionistico che è stata il detonatore per l’esplosione della passione per la bicicletta”.
Proprio il grande lavoro di Gianetti è stato uno dei motivi principali per i grandi successi raccolti dalla UAE Emirates nei 7 anni trascorsi dalla sua fondazione ad oggi: “Per me l’aspetto umano è la cosa più importante, perché gli sponsor poi arrivano di conseguenza al prodotto che si propone. L’aspetto a cui presto più attenzione quando si tratta di far entrare una persona in squadra, qualsiasi sia il suo ruolo, è che sia la persona giusta per la nostra squadra. Noi rappresentiamo un Paese. Io voglio uno spirito di squadra molto unito dove tutti sanno di essere delle eccellenze e la squadra gode delle 140 eccellenze degli altri. Di conseguenza ognuno di noi deve portare qualcosa. Io cerco una persona straordinariamente normale. Una persona che ha voglia, che ha passione e che sa che il ciclismo è uno stile di vita e non un mestiere”.
E poi ovviamente il dirigente elvetico spende due parole anche sul suo grande fuoriclasse, Tadej Pogacar, reduce da una stagione al limite della perfezione conclusasi con il titolo mondiale e il quarto Lombardia consecutivo: “Tadej è un ragazzo d’oro – spiega Gianetti – e ha un talento che non ho mai visto. È anche una bravissima persona, su di lui abbiamo un progetto a lungo termine. A noi non interessa fare record su record, il nostro progetto è diverso: vogliamo portare avanti la filosofia dello sport, della bellezza, del sorriso, della bella emozione. Non vogliamo rovinare tutto per cercare di vincere una Vuelta bruciando le tappe. È un talento straordinario sotto tutti gli aspetti, ed inoltre lavora più degli altri, è più preciso e rappresenta un esempio anche per gli altri. Lui è un vero leader, ed è un leader amato, non un capo”.
E alla domanda su un possibile addio dello sloveno, la risposta del dirigente della formazione degli Emirati lascia poco spazio ad interpretazioni: “Non ho paura che se ne vada. Lui è blindato ma proprio a livello di rapporto di amicizia. Ovviamente lo paghiamo bene e lo trattiamo benissimo, ma lui non è il corridore che andrebbe da un’altra parte per qualcosa in più”.
Ed in conclusione Gianetti ha voluto ricordare anche Gino Mader, tragicamente scomparso ormai più di un anno fa proprio in occasione del Giro di Svizzera: “La morte di Gino è uno shock da cui non ci siamo ancora ripresi. Ogni volta che sono davanti alla TV o seguo le gare la paura c’è in discesa e durante le volate. Non mi fa paura la tattica, non ho paura che i miei ragazzi non vincano la gara ma ho paura degli incidenti perché la velocità è molto alta. Si sta lavorando molto con l’UCI per cercare di migliorare tutto ciò che è possibile per la sicurezza dei corridori”.
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